giovedì 31 luglio 2014

La Playa di Catania, com'era: sull'onda del tempo perduto






              La Playa di Catania, com'era: sull'onda del tempo perduto

Com'era bella la Playa di Catania, celebre spiaggia di sabbia quarzifera purissima, fra i cinquanta ed i trent'anni fa! Quando la Playa era dei catanesi e di quelli della provincia, solo loro: non invasa né dal modernismo distruttore, né dalla omologazione delle mode stupide. Doverose, in estate, le digressioni marine: da noi, a Catania, ci si è sempre divisi fra i fautori della sabbia e degli scogli: è una querelle che non finirà mai. Personalmente siamo partiti con l'imprinting equanime: da bambini eravamo parallelamente presenti sia al lido, sull'arenile sabbioso catinense, che sugli scogli di Giardini Naxos, sotto il bellissimo promontorio di capo Taormina. E siamo cresciuti con quelle immagini, che rimangono impresse per sempre. Ma statisticamente, come frequenza, era la Playa che aveva il predominio: anche per questioni prettamente logistiche, abitando in città.
Abbiamo vissuto la Playa degli anni settanta e Ottanta, "plasmati" da mamma è papà che l'avevano vissuta negli anni Cinquanta e Sessanta, l'epoca aurea -se non si contano i nonni che già bazzicavano il lido Spampinato prima della guerra, e il lido Longobardo a San Giovanni li Cuti- : e ritornare ora, come ogni anno, sulla sabbia, è un viaggio nella macchina del tempo, l'eternèl retour di simbolica memoria. Non tanto il Paradiso perduto di Milton (anche quello, sì...), quanto la "recherche" proustiana. O meglio, voler ritrovare quel "colore del tempo" già delineato magistralmente dal catanese (la mamma era una Asmundo) elettivo Federico De Roberto, nell'omonimo volume di finissimi saggi. Don Federico se ne andò in una lontana estate del 1927, a  luglio: una fine, un inizio. In quegli anni era temerario andare al mare: la pelle nera dal sole era appannaggio dei pescatori che, come la famiglia Malavoglia, gettavano la rete per vivere: necessità, anànke, cruda realtà. La "moda" dell'andare in spiaggia ad abbronzarsi è del XX secolo, anzi degli anni Trenta, quando si iniziava a godere il benessere, c'erano i "treni popolari" che portavano i bimbi delle colonie al mare (da noi alla Pineta, ovvero Boschetto della Playa, creato dal Regime mussoliniano, era la colonia DUX...).
E non ci ritroviamo più nella Playa di Catania del 2014, anche se siamo tornati a frequentarla, passati gli "anta".  Rimane il fatto, come le indagini di quest'anno confermano (a fronte dell'inquinamento da coliformi che ammorba il litorale degli scogli da Ognina, Acitrezza, oltre Capomulini sino a Fiumefreddo e San Marco), che il litorale catanese è il più pulito ed esente da scarichi fognarii, per quanto ne possano essere invidiosi i patiti delle pietre nere: la comunicazione è di Legambiente-Goletta Verde, che non ha motivi, ci pare, di partigianeria.   Però, è scomparsa la visione del mondo, provinciale forse ma del tutto intimista, casalinga, che albergava nella maggior parte dei lidi dell'arenile (mai abbiamo frequentato la spiaggia libera... snobismo familiare? Forse...), quasi del tutto. Il "quasi" è connaturato al fatto che, come nel Sudafrica attuale esistono le "homeland", le nazioni chiuse ai neri dove abitano solo gli uomini bianchi che quella nazione fondarono e resero prospera (come oggi è giusto che sia giunta ad un universo di pari diritti democratici), anche alla Playa, per la natura ultraconservatrice di una parte (forse minoritaria, però consistente) dei catanesi, sussistono stabilimenti balneari con la forma mentis degli anni Settanta e Ottanta, ovvero "uso famiglia", come era scritto nelle bilance cuciniere di un tempo. In altre parole, il classico lido dalla struttura in pittura chiara, file di cabine in legno sino al mare (non ci sono più, ed è anche giusto, quelle in muratura), frequentato da famigliole che ancora portano con sè il tavolino, sedie, rimangono tutto il giorno, ivi mangiano cibi trasportati da casa (la pasta al forno, il falsomagro e la caponata, col vino immerso nel secchio col ghiaccio comperato per strada, sono il classico...), anche se oramai nella "buvette" del lido, non ci si limita più alla tavola calda, ma giunge una vasta gamma di piatti gastronomici per tutti i palati e per tutte le tasche.
E gli ombrelloni sono uniformati, per cromatica scelta, il che è corretto... ma le sdrajo, oh, le sdrajo sono sparite, sostituite dal cosiddetto "lettino da mare" che sarà anche spazioso e comodo, ma quant'è esteticamente brutto, anti Playa, stile spiagge orribili del nord... No, il lettino no!  Ed a costo di "fari u trafficu", come si dice nella nostra sicula lingua ("prima tra le lingue d'Italia, è il Siciliano", Dante dixit nel XIII secolo, rammentiamolo sempre), preferiamo trasportare la cara, vecchia ma fedelissima sedia sdrajo in legno e tela, e assiderci lì, a guardare l'orizzonte, ascoltare canzoni, pensare e sognare. Sì, proprio quella stessa sedia che si vede nelle pellicole degli anni Cinquanta e Sessanta, da "Cerasella" ai films estivi con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia.. quella, intramontabile, fedele, "eterna". E passim se è un po' affossata, se nessuno l'ha più e si ha l'aria retrò (del resto, non va di moda il vintage?), se si usano gli zoccoli di legno e non quegli orripilanti còsi di plastica...  La Playa non è più quella dei bei tempi, ma fin quando esisterà una vecchia sedia sdrajo old style, la bandiera della tradizione, pur offuscata e desueta ma viva, non sarà mai ammainata.
Com'era bella la Playa della nostra fanciullezza, quando prendevamo còlle mani le meduse che ci sbattevano in viso, ce ne fregavamo delle alghe e ci tuffavamo contro le garrènti onde del mare denso, anche oggi, di pescetti verdi e neri che, a volte impetuoso, tumultua a petto della meravigliosa visione dell'Etna e della città, distesa a' suoi piedi come una schiava millenaria.  Ora non vediamo nessun bambino che, quando il mare è mosso, si getta a capofitto sotto le onde: "Non si può, è pericoloso", lo dicevano anche a' nostri tempi, ma con un sorriso, come per dire che non era una cosa seria.  Ed ecco il punto: ora sono tutti, tutti troppo seri. Il bagnino ti fischia appena superi la boa e la corda (ma quando mai c'era la corda un tempo...), come se stessi annegando, e tutti guardano allibiti a guisa che avessi commesso un imperdonabile delitto.   Che ciò sia per la sicurezza è indubbio, tuttavia è anche esagerato, verso chi è adulto e sa ciò che fa.  Un tempo si giocava solo a tamburelli ed al massimo al flipper, i "vecchi" alle bocce (macchè scivoli, macchè quadro svedese). I tamburelli ci sono ancora, ma adesso i "vecchi" (non chiamateli più così, per carità) si mettono a ballare la "zumba", c'è l'istruttrice, e pure in acqua lo fanno.... "Santu Dddìu!"  E' quello il momento di scappare dal lido, se si è deciso di stare tutto il giorno o se si è così temerari da andarci il sabato e la domenica (giorni off limits per il caos e l'invasione della malacreanza anche nelle suddette oasi della tradizione).  Non parliamo poi della spiaggia per i cani, detta anche "dog beach": si passa per nemici degli animali, noi che li amiamo, se osa affermarsi che la commistione uomo-cane in acqua non è il nec plus ultra dell'igiene: ultimamente in un paio di lidi, c'è questo, alla Playa. E se si può capire che, notizia recentissima, anche ai disabili in sedia a rotelle sia stato permesso di accedere sino al mare, il bagno col cane è sintomatico dei tempi: a quando la spiaggia comune con cavalli e tartarughe (finchè non ci sia il famelico che le rubi per mangiarle)?
Al mare ci andavamo, e ci andiamo, alle 9, quando la marmaglia (senza offesa per nessuno, eh...) dorme ancora, quando i primi bagni sono i più belli e dolci come il bacio della canzone di Gino Paoli, "Sapore di sale"; quando si può godere, letteralmente, di settimana, della spiaggia vuota... ahinoi, solo per un'ora o due...quando le telline, ovvero i "còzzuli d'à playa", sono fredde e saporitissime da mangiare direttamente in acqua, come un rito ancestrale e propiziatorio al dìo del mare, Posidòne il magnifico...
Ma non tutto oggi è cattivo, per fortuna. Il telefonino "salva la vita", mentre a' tempi era un traffico: procurarsi il gettone alla cassa, aspettare che il telefono fosse libero, e poi parlare senza nessuna privacy: magari c'era dietro il tizio che sbuffava perchè aveva fretta di chiamare la moglie, stando al mare con l'amante... Le canzoni le puoi ascoltare con il medesimo telefonino, mentre allora c'era il 45 giri o per i più sofisticati, l'elle pì: e il mangiadischi da mare, per non dire delle audiocassette che spopolarono per un certo periodo: e tra noi, era il notissimo Brigantony, insieme con le canzonette napoletane -cantate dai catanesi!- echeggiato da tutti i gelataj di Catania, sia al mare che nei quartieri popolari: epoca delle "radio libere", come si chiamavano allora, e in TV, del Pomofiore di Gianni Creati, e del Festival della Canzone Siciliana di Pippo Baudo.
Come fai a spiegare tutte queste realtà, la magìa di quel periodo che era il riverbero di tempi ancor migliori, gli anni Cinquanta e Sessanta, alle pletore di ventenni nati in pieno "berlusconismo decadente" e che sembrano non avere pathos se non, come diceva il nostro Preside, Raffaele Urzì del Principe Umberto (morto anche lui), "per fare le pernacchie". Ma un momento... lo diceva a noi questo... e ora noi lo diciamo a' ventenni del 2014? Però nessuno più oggi fa una "pernacchia", intesa nel senso di Eduardo De Filippo, o meglio ancora del celeberrimo Pippo Pernacchia di Catania (lo abbiamo conosciuto), un personaggio che s'inventò il lavoro di spernacchiare a pagamento: oggi, con la serietà del XXI secolo, sarebbe stato arrestato per stalking! Quindi, se nessuno dei ragazzi più fischia e, all'occorrenza, spernacchia... cosa fanno? Lasciamo stare. Ricordiamo Catania democristiana, sino alla fine degli anni Ottanta: dopo le chiusura dei negozi in via Etnea, c'era il coprifuoco, tutti a casa. Era meglio allora oppure oggi, allorché già sin dalle 18 nei finesettimana c'è un vergognoso spaccio di droga in centro, pure dietro piazza Stesicoro (si passi per via Penninello, scalinata: le forze dell'ordine, poche e meritorie,  fanno ciò che possono, ma devono avere ordini precisi...)? Lasciamo perdere.
E così era la Playa, serena, felice, fino a trent'anni fa. La sera tutti a casa, appena il sole iniziava a tramontare. Niente balli, niente locali, niente capanne di paglia o pizzerie notturne o pub, niente "stirillìppiti", come si usava dire allora.  Al massimo una gazzosa o un selz al limone. Casa e Chiesa, nel senso letterale del termine. Ora la Playa non la riconosciamo più, con quegli orridi alberghi che sorgono laddove fu la meritoria, e bellissima, "Casa del Sole", colonia marina "elioterapica per tubercolotici" inaugurata da Sua Maestà il Re Vittorio Emanuele III appositamente convenuto in città, con lo yacht reale Savoja, il 20 ottobre 1934 ("Sua Maestà gradì il gesto della bimba che gli porgeva dei fiori all'ingresso dello stabilimento", riportano le cronache); quella Colonia fu nel dopoguerra gestita dal Centro Italiano Femminile, prosecutore dell'Opera Nazionale Maternità e Infanzia ex GIL: attività importantissima per moltissimi bimbi della provincia, che neppure sapevano cosa fosse, il mare... La dirigeva l'allora Assessore alla Pubblica Istruzione del Comune catanese Filina Gemmellaro, Sindaco Luigi La Ferlita.  Dopo il CIF la "casa del Sole" venne data in gestione alla Scuola Maria SS.Assunta, fondata e diretta da quel sacerdote dal polso fermo e serio che fu Padre Pignataro, rettore della chiesa di piazza caduti del mare altrimenti chiamato "u tùnniceddu da playa", il quale morì letteralmente di dolore, dopo una aspra e vana battaglia, per impedire lo scempio degli alberghi che cancellassero una istituzione che da decenni ospitava i bimbi più poveri e disagiati per le attività ricreative. Quella fu la vera "morte" della vecchia Playa (nei primi anni del XXI secolo), se si fa spazio allo schifoso denaro e si rade al suolo una struttura che anzi andava potenziata e valorizzata, proprio perché appannaggio dei poveri. Ma i poveri, si sa, sono graditi al Dio Supremo, non agli assetati dell'oro.  Resiste ancora, e per fortuna, la colonia Don Bosco, mercè l'opera laudevolissima del GREST salesiano e degli animatori, che oltre alle attività in sede,  trasportano i bimbi e ragazzi al mare nello spirito senza tempo della fraternità di San Filippo Neri (qui ci piace ricordare l'attività dell'Oratorio vecchio di via Teatro Greco, frequentatissimo da bimbi di tutti gli strati sociali): state buoni, se potete. E mano male che questo "muro" regge... Ma il resto, no.
Per tutto questo, continuiamo a pensare che la face distruttrice del tempo attuale sia illusoria, "Maya" come è nella filosofia indù. E quando ci sdraiamo sulla vecchia ma solida sdrajo dei bei giorni, all'ombra certo, mentre i bimbi giocano comunque coi castelli di sabbia e si tirano l'acqua addosso, amiamo pensare, come nella commemorazione di Ben alla fine del film "Oltre il giardino"  (1979) con Peter Sellers che cammina sulle acque, che "la vita è uno stato mentale".
                                                                                                                    F.Gio

Nelle immagini: la sdrajo senza tempo nella Playa del 2014, e una fotografia d'antàn della Colonia estiva del CIF catanese con base alla "Casa del Sole", nel 1960 -collezione nostra- : si noti l'Etna e le ciminiere del porto, non più esistenti. Chi si riconoscesse nell'istantanea, è pregato di scrivere in calce un commento...

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