lunedì 28 dicembre 2015

Alla Natura, versi di Mario Rapisardi





                     Alla Natura
   per un congresso di naturalisti in Catania

E a te, diva Natura,
libero sorga un cantico
dal mio petto fedel, 
sia che remota e scura
volga pel mar dell'essere,
sia che t'assenta a noi scevra di vel.
Di falsi idoli ai piedi
chinar non vo' l'indocile
fronte devota a te:
tu che su tutto siedi,
una, diversa, onnigena,
inno e culto tu sola avrai da me.
Sul tuo carro di stelle
muta procedi, e il pallio
serri al virgineo sen;
danzan leggiadre e snelle
l'Ore ai tuoi passi, e versano
per le vaste regioni ombra e seren.
Sotto al tuo ferreo trono,
come bendate vittime
presso il fumante altar,
servi e costretti sono
l'ira dei nembi e i fulmini
e le insidie e i selvaggi odj del mar.
Tu parli, e pe' profondi
spazj fecondo s'agita
il tuo soffio vital;
sorgon pianeti e mondi
ad intrecciar le lucide
danze intorno a la tua fronte immortal.
Fremi, e da' morti abissi
balzan vulcani, e mugola
il riverso oceàn;
cadon confusi e scissi
popoli e mondi, e placida
tu sui nembi passeggi e l'uragan.
Ma allor che su la bocca
t'arde, qual raggio d'iride,
un sorriso gentil,
amor, che i dardi scocca,
l'anime accende, e il fremito
sente la terra del fiorito april.
Così tu regni. Poco
è al tuo possente imperio
lo spazio e l'avvenir;
son tuo trastullo e gioco
gli astri, gli abissi, i secoli,
l'albe e i tramonti, il vivere e il morir!
Salve! Dal carcer nero
ove, superbi Enceladi,
veniam teco a tenzon,
al tuo nume severo
prostro io la faccia, e trepida
alzo la voce della mia canzon!
Salve! Se lieta e pia
mai concedesti all'italo
Genio un tuo raggio sol,
or da' che questa mia
Patria rinnovi il fulgido
serto e il novo pensier liberi a vol.
Mira! Al tuo culto eletti
qui manda Ausonia i provvidi
figli del suo saper;
da sacro amor costretti,
la grande ombra d'Empedocle
dal fiammante li chiama ampio cratèr.
Sorridi, o Dea, sorridi,
sia che dall'Etna fumido
t'amiamo oggi invocar,
o dai pomosi lidi,
da cui fuggente e pallido
scagliossi il poveretto Aci nel mar.
Vedremo ai tuoi benigni
lumi svelar più docili
tesori il Mongibel:
quanti ha zolfi e macigni
nelle ferventi viscere,
quante ha sabbie sul dorso aspro di gel.
In vorticosi balli
verran l'onde del Càmmaro
liete a lambirci il piè;
di conche e di coralli
ne verseran le Najadi
da' ricolmi canestri ampia mercè.
Dal viso tuo redenti
potremo del Ver su l'ardue
cime acquietarci allor;
e a le stupite genti
schiuderà il Genio italico
nuovi olimpi di gloria e di splendor!

                                                                                      Mario Rapisardi

(dalla raccolta "Le Ricordanze"; leggiamo dall'Epistolario rapisardiano, pag. 33: "quest'inno fu recitato durante la riunione dei naturalisti italiani nella Casa Inglese in cima all'Etna il dì 27 agosto 1869 in occasione del IV congresso tenuto a Catania; e ripetuto al banchetto del Municipio il 23 agosto". Ma non dal Rapisardi, che si scusa dell'assenza con lettera a O.Silvestri pubblicata nell'Epistolario, pp.32-33. Si sa come il Poeta rifuggisse le pubbliche occasioni, màssime quando dovevansi recitare suoi versi).