martedì 25 settembre 2012

Ricordando Vincenzo Bellini



      

    Ricordando Vincenzo Bellini

A Catania la primavera è eterna, come l'autunno. Estate è vaghezza di sàlse acque, di immemorabili ombre; ma le stagioni gentili sono uniche. E doveva essere continua la primavera nell'anima di quel fanciullo biondo, se è vero come affermò il siciliano Empedocle, che il sangue è sede dell'anima, rispondente al nome di Vincenzo Bellini.   Occhi come il cielo, riccioli del colore d'Iperione, carnato candido, non si poteva non amarlo, il figlio del maestro di musica Don Rosario, e di Donna Agata dei Ferlito. Il nonno lo accoglieva quindicenne in casa sua (era numerosa la prole in casa Bellini), ed avevano mutato dimora un pajo di volte: sempre rimanendo però intorno al Corso, la strada Reale che fu il fulcro di ogni vicenda cittadina. Vincenzo, o meglio 'Nzuddu come lo appellavano, viveva col nonno, noto musico di casa Biscari e di altre comunità religiose: in via Santa Barbara alta, a ridosso del muro della 'reggia', del Monastero dei Padri Benedettini. Sovente il fanciullo, che tutta Catania amava poichè era già noto sia per arie in forma d'orchestra (Ombre pacifiche, per nozze, la scriveva allora), sia per composizioni religiose vergate sin dall'età di sette anni, sia per alcune Messe che andava componendo, si recava col papà o coll'avo a Santa Nicola, nella chiesa dei monaci, per suonare l'organo maestoso a cinque tastiere e quasi tremila canne. Donato Del piano il costrutore, sepolto sotto, ne fremeva d'orgoglio.
Ogni tanto saliva in sull'erta del Monastero, attraverso i 120 gradini della scaletta a chiocciola, e contemplava la città tutta, il mare l'Etna e l'orizzonte: sentiva il profumo della gloria. Scrisse anche musica per organo, infatti, seppure oggi poco nota. Anche dalle Suore del vicino Convento delle Benedettine di via Crociferi egli si recava, insieme con i genitori; e pure alla Trinità, dalle altre Benedettine: tutte committenze utili e che colmavano il ragazzo di piacevoli diletti e dolci.   Gli spazi del fanciullo e del ragazzo erano tutti lì, in quelle vie barocche e a notte, buje: tra la 'vanella dello spirdo' e le chiese numerose, silenti, dense di religiosità autentica. Anche nella via che oggi si chiama Politi, sede del primo amore del nostro, la dolce Marianna, figlia del notaio: per lei il dodicenne scriveva la didascalica 'farfalletta'. L'abate Ferrara, insigne storico, guardava il ragazzo con l'occhio benevolo del precettore. Quando egli lo portava con sé nella Biblioteca benedettina, a sfogliare le carte musicali dei religiosi, Vincenzo sentiva l'afflato, immettendosi nel piccolo refettorio e poi nella sala Vaccarini, del tempo immemorabile: dentro l'animo muto, si commuoveva.
Nella primavera di 'Nzuddu c'era l'Amore, Sant'Agata, la mamma e la famiglia: non lo si dimentichi mai. Nelle sue lettere egli torna spesso su una parola che nel secolo XX seconda parte, assunse brutta significanza, ma che all'epoca era orgoglio pròfferire: "L'onore, l'onore... l'onore siciliano". Questo biondo genio che si avviava a riassumere in sè i caratteri del romanticismo e della perfezione, che la morte stroncava nel pieno del successo e che gli ideali innalzarono con la purezza delle note, nell'olimpo della gloria, era orgoglioso di essere siciliano e di cotanto onore. "In pochi artisti potremmo trovare così ben definita l'impronta della razza e della terra nativa, come in questo catanese", ha scritto nella celebre biografia, Luisa Cambi. E se egli col passare degli anni vòlse al pratico ciò che sapeva essere una dote divina, gli è che la famiglia era il suo primo pensiero, così la consapevolezza di essere di cèppo umile, per cui doveva provvedere, come le formiche, alla bisogna. I principi del Pardo, i Sammartino che primieri lo ajutarono con la sovvenzione del Comune che gli diede la possibilità di studiare al San Sebastiano di Napoli, facevano parte di quella eletta schiera (estinta dopo l'Unità) di nobiltà che era tutt'uno col popolo. Ed erano anche Frammassoni, come lo era quasi certamente il nonno Vincenzo Tobia, sodale dei Biscari: il ragazzo meritava anche per riguardo all'avo.  Infatti poco dopo a Napoli, ancorchè poi se ne sciogliesse in una uscita concertata col direttore del Conservatorio, Bellini si affiliò alla Carbonerìa: 'peccato' che comunque, se si riflette sulla natura politica e spirituale della liberalità del suo animo, rimase nella storia umana del nostro come segno di amore fraterno per la libertà. Non era Bellini persona da dimenticare i giuramenti prestati all'ombra delle 'vendite', nè sul Vangelo. Cattolicissimo, la sera di quella primavera prima di partire per Napoli, nel 1819, piangeva con stretta l'immagine di Sant'Agata: così lo trovava la 'mammuzza'. E con l'immagine della nostra vergine sempiterna in cuore, certamente egli s'involava nella tragica sera del 23 settembre 1835: "sempre ritornante in terra come la primavera...in una sola forma di bellezza giovenile" (G.D'Annunzio).
Catania lo ricorda ogni anno: premio a lui intitolato, opere notevoli (Wagner diceva che solo Bellini e la sua Norma lo facevano fremere e nessun'altra opera italiana...). A noi piace pensare a 'Nzuddu come allora, fanciullo vagante nella notte tra il profumo de' gelsomini ed i barocchi palazzi della Strada Reale (ora via Vittorio Emanuele); lo rivediamo spesso, chiudendo gli occhi ed anche passando  le mani su le pietre antiche, che egli calcò; il corpo giace poco distante, in Duomo, la cara decorazione della Legion d'Onore francese è addosso alla splendida Sant'Agata; col cuore gònfio di quella "Ninfa gentile", la malinconìa, che accompagnò sempre l'anima sua per l'etere, e rimane come soffio intramontabile.
F.Gio

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