venerdì 21 agosto 2009

Sant’Agata di mezz’agosto a Catania com’era…


Com’era bella un tempo, la festa di Sant’Agata di mezz’agosto! Noi catinensi la chiamavamo così, allorché era ancora ‘nostra’. E per ‘nostra’ intendiamo affermare una visione intimistica, quasi esclusiva, dell’uscita del busto reliquiario della Patrona cristiana della città, rammentandosi non solo l’anniversario del ritorno delle reliquie, il giorno 17 agosto del 1126 ad opera dei soldati bizantini Gisliberto e Goselmo, animati del resto non già da sola virtù ma da immortale ricordo (infatti sono sepolti nella cappella detta dei Re aragonesi, a destra di quella agatina, nel Duomo della città: pensate, due umili militi che dimorano accanto a’ Sovrani d’Aragona… et in pulvis reverterunt…!), resti mortali della Vergine traslati la notte dell’otto gennaio del 1040 dallo stratigò bizantino Giorgio Maniace venuto in Sicilia a combattere i mussulmani che la possedevano, ma anche lo scaturire delle feste popolari, le quali sin da quel secolo XII ebbero inizio in modo istituzionalizzato, stratificandosi pòscia nel noto cerimoniale del secolo XVI, più volte modificato sino ad oggi.
Com’era bella, si affermava, la tradizione del ritorno sulle onde del Mediterraneo, da Costantinopoli teatro delle gèsta di Eliodòro, a Catania, delle frànte ma –si afferma- incorrotte reliquie della ‘Santuzza’, come i catinensi la appellano: siccome Iside fu dèa navigera, ed in Apulejo (Metamorfosi) ne abbiamo autorevolissima ed affidabile testimonianza (egli fu suo sacerdote), vogliamo credere alla pia leggenda non senza ingegno intessuta da’ Vescovi cristiani dell’accorrere i catinensi annottando, in camicia bianca onde ricevere, già arrivata la nave con lo scrigno reliquiario nel castello di Aci ed ivi ricevuta dal benedettino Vescovo Maurizio, a festeggiare dopo ottantasei anni, il ritorno della fanciulla quattordicenne simbolo di incorrotta virtù, da quel momento dimorante nel recentemente costruito, e turrito, edifizio della Cattedrale. E poco cale se i sacerdoti issaci ebbero appunto la bianca veste, e le donne quella verde (colore alla Divina Madre consacrato): in commistione perfetta, il popolo sempre più intuitivo dei saccenti e dei manipolatori della Verità sa, e ben conosce, chi è la Magna Mater ed a chi deve rendere il devoto omaggio.
Agata dunque, il 17 agosto alla sera, in tra fuochi d’artifizio non invasivi, sino a pochi anni fa mostràvasi mesta quasi, senza pompa, solo nelle sue vesti semplici del busto reliquiario, aggirare l’elefante su cui sovrasta l’obelisco egizio, quindi in senso antiorario ritornare alle antiche origini, non prima di aver riveduto il sacro mare, per poi quasi subito rientrare. Una timida uscita, per i pochi rimasti in città, nella calura agostana.
Ahinoi, tutto vanisce, nella mèsse del consumismo. Oggidì la piazza del Duomo appare stracolma più di allogeni che di autoctoni, i quali del resto non tutti ma in parte, come avviene nel rimanente mòndo imbarbarito dalla massificazione cosmica, dimenticarono la circostanza di raccoglimento che tale festa dona, in misura molto minore di quella, ben più solenne e maestosa, dei giorni del martirio, nel febbraio di ogni anno, che vede il fercolo girare per la città; invasione di corpi consumanti aria, quella residua che rimane dall’aspirazione impietosa degli apparecchi di refrigerazione installati in quasi tutte le case (e che nel centro storico settecentesco di una città antica costituiscono autentico segno della diminuzione di ossigeno), ove esso non venga da parte delle politiche autorità antropizzato del tutto (ovvero chiuso senza appello, non in minima parte ma completamente, al traffico automobilistico, vera fonte mefitica del calore eccessivo); un diciassette agosto dunque non più alla Vergine catinense dedicato, ma al commercio più sfrenato, al consumismo e sopra tutto, al trionfo dell’egotismo oltre la solidarietà fraterna la quale proprio dalla Luce di quella fanciulla incorrotta viene versato, in ogni caso ed in ogni tempo, nei cuori di chi sa comprendere, oltre ogni distinzione di fede come di assenza di essa, di razza, di ceto sociale.
V’ha una scritta, sul portale a sinistra osservando la Cattedrale di Catania, in sigla che quasi nessuno rammenta: con motivazioni comprensibili, per coloro che ne han dònde. E’ "NOPAQVIE", ovvero "non provarti, o tu che varchi codesta soglia, ad offendere la patria di Agata, la civitas Catinensium, perché Costei è sicuramente vendicatrice delle offese ricevute". Se si notano le vicende degli ultimi amministratori politici della città, riguardo i guai giudiziarii e di salute, jeri ed oggi, si può dire che l’invocazione terrifica non è priva di valore. Anche dèssa è di origine precristiana, se proprio si vuol sceverare nelle antiche reliquie. Come Agata la bella, la Santa pura che naviga serena sul mare e che la tradizione religiosa (dallo storico reverendo Consoli a Padre Santo), vòlle segnalare qual giorno di nascita l’otto di settembre, del 238. Natività di Myriàm, appunto. Ave, Maris Stella. Anche se travolta dal triste modernismo delle màsse che più non ti consente di apparire come un tempo e ti dòna abiti inconsueti, ciò fa parte della ruota del Destino. Tornerai a risplendere, intemerata e dolce, nella intima povertà, nella quasi solitudine, di un tempo felice, ove fiorivano gli ibischi, senza che fòssero soffocati dal tànfo dei troppi, indegni profani.